UNA RAPSODIA LETTERARIA DI MASSIMO BUBOLA


20 giugno 2009

Incombe un’oscura maledizione sul piccolo borgo della campagna veronese.
Un angelo inquieto, vestito da musicante, appare a tre carbonai e, contemporaneamente, in ogni stalla, le vacche fanno latte blu, mentre gli abitanti avvertono il dovere irreprimibile di liberare l’anima da antichi, reconditi, peccati.
Si dipana così, procedendo tra misteri che pretendono di non essere più tali e accumulando rivelazioni capaci di abbacinare la ragione, il romanzo “Rapsodia delle terre basse”, da poco dato alle stampe da Gallucci Editore e di cui è autore Massimo Bubola, protagonista da trent’anni della canzone italiana d’autore, compositore e interprete di brani folk, per anni sodale di Fabrizio De André col quale compose capolavori come “Andrea”, “Sally”, “Fiume Sand Creek”.
Qui, in questa sua “opera prima”, Bubola palesa un ulteriore aspetto della sua eclettica personalità d’artista. Con una scrittura meticolosa, predisposta all’introspezione e attenta a registrare sia i sentimenti dell’uomo che le vibrazioni della natura, egli cattura e mette a nudo, impietosamente, i destini dei personaggi, descrive la società veneta degli anni cinquanta, già in procinto di scalare, avidamente, la modernità, coniuga fiaba, racconto morale e cronaca nera, compone un testo rapsodico, come d’altra parte il titolo prevede, nel quale i ritmi, gli spunti e le forme espressive, dalla poesia alla novella, si alternano e vicendevolmente si supportano in modo di stupire il lettore, pagina dopo pagina.
L’affresco che ne risulta è gremito di figure paradigmatiche, ognuna testimone di una vita, ognuna portatrice di una trama o di un intreccio che rende solido e avvincente l’ordito del romanzo. Tutte hanno storie tristi o bizzarre da raccontare: c’è il prete combattuto tra misticismo e razionalità, Maria la matta che porta fiori sulla propria tomba già corredata di foto sorridente, Zara che aspetta il ritorno del figlio dalla Russia, c’è l’avvocato Bragadin che uccise la moglie per errore, c’è la fanciulla decollata dai fratelli ingordi di eredità, ed anche Alfonso il parrucchiere, che accoltella la sua amata perché non sempre “amor che nullo amato amar perdona”.
Come in ogni fiaba, come nei racconti gotici o profetici, agli adulti contadini e borghesi, il perdono arriva dopo un metaforico viaggio negli inferi, tappa imprescindibile per la purificazione, evocato lungo il percorso del romanzo da rime tratte dall’Orfeo di Christoph Gluck e dalla presenza di un giovanotto di nome Alichino, come il diavolo inventato da Dante nella sua Commedia.
Quando cala il sipario e la catarsi scolora, nella “Rapsodia delle terre rosse” ritorna la speranza. Succede quando, su una nave volante, i giovani incantati dagli arpeggi di un magico chitarrista, emulo del pifferaio di Hamelin, tornano in paese reduci da un viaggio nella dimensione inesplorata del sogno e della fantasia, in modo di assicurare il futuro “così le donne del paese poterono di nuovo rimanere gravide”.
Il testo di Massimo Bubola è accompagnato dalle illustrazioni in bianco e nero, realizzate da Lorenzo Mattotti per la raccolta “Appunti sul paesaggio”, che qui evocano scenari avvolgenti, struggenti prospettive, distese di prati ondulati, panorami infiniti e assegnano al romanzo motivi e pretesti per ulteriori fascinazioni.