Per Giancarlo


10 settembre 2007
Era ormai consunto dalla ferocia del male quando vidi per l’ultima volta Giancarlo Granziero. Eppure la fiamma di quell’intelligenza arguta che da sempre ne caratterizzava lo sguardo, continuava a brillare in fondo ai suoi occhi, per nulla intenzionata a spegnersi, continuando, anzi, a lanciare bagliori di curiosità che lo ancoravano pervicacemente alla vita. Ogni argomento di conversazione, in quei frangenti, si sa, diventa banale, ma bastò che accennassi alla comune passione per il jazz e subito quella luce si animò, tanto da riverberare sulle labbra e diventare un sorriso: i brani registrati da Charlie Parker presso lo studio Savoy, ci tenne a informarmi, li aveva tutti a 33 giri. Ne sapeva come pochi di musica, dal jazz alle canzonette, ed infatti sull’argomento aveva scritto lungamente per il Gazzettino e per le altre pubblicazioni alle quali aveva collaborato in oltre trent’anni di attività giornalistica. Ma, come i lettori ricorderanno, la sua firma accompagnava anche articoli di cultura, di politica, di critica di costume, segno non solo di notevole professionalità, ma soprattutto di una rara propensione a riporre i propri interessi negli ambiti più svariati. Fu questo che mi colpì, la volta che lo conobbi. Era il 1961 e lui, poco più che ventenne, era titolare di un negozio di ottica in piazza Pola, dove oggi ha sede un’agenzia di viaggi. Ero entrato per una montatura nera, quadrata, alla Gino Paoli o come quella che portava lui. Estrasse quattro o cinque modelli, poi notò il libretto che sbucava dalla tasca della mia giacca (Giacomo il fatalista, BUR), e da lì iniziammo a parlare: da Diderot passammo a Brassens, e poi, un po’ deviando, arrivammo a Gaber, che lui aveva conosciuto dieci anni prima a Tambre d’Alpago.
Il negozio di Giancarlo diventò un appuntamento quotidiano e irrinunciabile; e non solo per me.
Capitava che a molare le lenti, a fissarle nelle orbite vuote dei telai - nel laboratorio dietro la tenda - fosse, molto spesso, suo padre. E questo non perché Giancarlo rifiutasse di mettere a frutto il diploma di ottico conseguito a Firenze dopo l’abbandono del liceo trevigiano, bensì perché il luogo, soprattutto nel pomeriggio, si animava di giovanotti giunti in ordine sparso, ognuno portandosi dietro il proprio chiodo fisso: chi il teatro, chi le ragazze, chi le poesie, chi il cinema e il jazz, qualcuno anche la fantascienza e la politica. Il negozio di occhiali si trasformava in una sorta di centro culturale (a certe ore si estendeva fin sulla piazza o nel bar dei preti) dove dialogavano assieme l’attore dilettante e il rappresentante d’abbigliamento, il cinematografaro ai primi passi e il musicista, il pittore e lo studente. Fu li che conobbi Giambattista Mussetto, Marcello Lodde, Elio Tomadini, Diego Grazioli, i fratelli Pornaro, Lallo Pongiluppi, Giuliano Zavan, Marcello Lodde, Dino Tronchin, Gianpaolo Li Volsy, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente.
Giancarlo era davvero il padrone di casa, sia perché del luogo in cui ci si incontrava era lui a pagare l’affitto, sia in quanto sapeva intervenire negli argomenti di tutti, mostrando di possedere un patrimonio di conoscenza non comune e una capacità di trovare nessi tra le varie espressioni dell’arte, che non di rado mi sbalordivano. Non fu colpa di quelle riunioni però se, due anni dopo, l’attività si interruppe. Era capitato, invece, che, per gentile concessione della fortuna, le doti di esperto musicale di Granziero erano state riconosciute anche fuori dalle mura di Treviso: la RCA, infatti, lo aveva assunto come “promotion man”, il che significava avere a che fare con tutti i più importanti artisti della canzone moderna italiana. Il negozio di Piazza Pola smise di essere un crogiuolo di esistenze e di aspirazioni, ma la nostra amicizia non finì: continuammo a scambiarci libri, dischi, scoperte e opinioni, a condividere molti eventi della vita, a coinvolgerci, reciprocamente, in avventure culturali. Fu lui, diventato pubblicista nei primi anni settanta, a offrirmi la possibilità di scrivere su un periodico; fu lui il primo a credere nel mio progetto di una mostra di fumetti; fu lui a coinvolgere Giordano Anselmi e il Circolo della Stampa, e ad affiancarmi, per varie edizioni, nella organizzazione di Treviso Comics, un festival che molti, in giro per il mondo, ancora ricordano.
Per me è stato un amico, un compagno di strada, un punto di riferimento, un intellettuale generoso e senza spocchia, un fratello maggiore: su molti temi un maestro prezioso. Ora non so dove si trovi; mi piacerebbe però che ci fosse il paradiso del jazz. Giancarlo Granziero vi troverebbe, prenotato a suo nome, un posto in prima fila. Per ascoltare Night in Tunisia dal sax di Charlie Parker.